fatte a mano

Cosa significa per voi la dicitura fatte a mano?

Sino ad alcuni decenni fa tale definizione appariva una necessaria distinzione per oggetti non provenienti dalla produzione industriale, dalla generazione senza sosta di cose attraverso macchine. Ciò prometteva di soddisfare la bulimia di possesso da parte dei molti, finalmente e apparentemente emancipati nella loro capacità di acquisto (e di indebitamento, grazie alle magie del finanziamento rateale..) e non più dei pochi privilegiati.

Paradossalmente, oggi i ruoli appaiono invertiti, a ben guardare.. Il privilegio appartiene non più a chi può possedere, bensì a chi può scegliere tra le sconfinate moltitudini di oggetti prodotti e immessi sui mercati globali e – forse ancor più – a chi ha il tempo di scegliere.

Provate a chiedere a un gruppetto di conoscenti un elenco delle cose di cui sentono maggiormente la mancanza, raccogliete le risposte e fatene una classifica: scommettiamo che sul podio salirà – accompagnato da una graziosa signorina, bottiglia di spumante in mano – Il Tempo?

Fatte a mano per noi significa – oggi – fatto con Il Tempo: il tempo necessario per lasciar maturare le abilità dell’artigiano, con il tempo utile ad assaporare i materiali, con il tempo di accogliere l’errore, di osservare e quello di poter rifare una, dieci, cento volte.

Il tempo dell’artigiano è un tempo consapevole ed è – più di ogni altra cosa – un tempo lento: e’ il tempo che permette la dialettica tra mano e mente (Kant – non uno qualsiasi – sosteneva che la mano fosse la “finestra della mente”); è il tempo che permette l’improvvisa immaginazione e che permette di far nostra la tecnica mutandola in abilità personale, uno in più tra i linguaggi che abbiamo a disposizione per comunicare con ciò che ci circonda.

Nelle stanze del Tarlo essere artigiani significa travasare impegno in quello che si fa sino a renderlo pregno; in conseguenza di ciò restiamo ostinatamente convinti che in ognuno esistano giacimenti di potenzialità per essere buoni artigiani: il materiale grezzo per riappropriarsi dell’uso delle mani e del tempo necessario a farle funzionare al meglio. Ma non tutti sanno innescare il più efficace strumento per estrarlo dal sottosuolo.

Lo ripetiamo spesso a chi si sorprende osservando la nascita un nostro lavoro e ritiene che non sarebbe in grado di fare altrettanto: la differenza sta nella motivazione, nella aspirazione alla qualità e – ancora una volta – nel tempo a disposizione.

Chiunque pratichi un’attività per sua natura ciclica e ripetitiva (spaziando irrispettosamente dalla corsa a piedi sino all’enunciazione di un mantra) lo sa bene per analogia: il tempo necessario per “fare a mano”, una volta che l’abilità si sarà raffinata permettendo all’intelletto di svincolarsi dall’apprendimento dell’azione, si trasformerà nell’ideale contenitore della riflessione e del pensiero creativo, favorendo la ricerca e la generazione del bello.

Per dirla con Richard Sennet (correte in biblioteca a prenotare il suo “L’uomo artigiano” edito da Feltrinelli): “perché chi sa governare se stesso e dosare autonomia e rispetto delle regole, non solo saprà costruire un meraviglioso violino, un orologio dal meccanismo perfetto o un ponte capace di sfidare i millenni, ma sarà anche un cittadino giusto.”

In ognuna delle trottole del Tarlo vi è un po’ di questa ostinazione e dedizione. Guardatele bene da vicino prima di lanciarle e poi provate a dire che non hanno un’anima..!